La professione del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva e l’approccio alla Neurodiversità

di Ilaria Cocchiola

Sono Ilaria Cocchiola e sono una Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (il cui acronimo è TNPEE). Svolgo la mia professione a partire dal 2017: ho iniziato il mio lavoro di terapista in Campania e successivamente in Salento. Attualmente vivo e lavoro tra Roma e Tivoli. Mi occupo di valutazione e trattamento riabilitativo del bambino con difficoltà evolutive o disturbi appartenenti alle aree della neuropsichiatria infantile. 

Come si intuisce, la mia è una Professione Sanitaria della Riabilitazione, che nasce in Italia nel 1997 ed è tuttora in costante aggiornamento ed evoluzione. I bambini che si rivolgono al terapista della neuro e psicomotricità possono avere molteplici bisogni evolutivi, difficoltà nell’acquisizione di alcune tappe dello sviluppo psicomotorio o patologie specifiche. La fascia d’età con cui generalmente si interfaccia il Terapista della Neuro e Psicomotricità va da 0 a 18 anni: questo periodo della vita di ogni Persona è riconosciuto come “periodo evolutivo” ed è pertanto ricco di cambiamenti per ogni individuo. 

Grazie ai bambini che seguo nel mio quotidiano, mi sono avvicinata al termine Neurodiversità che viene generalmente associato al disturbo dello spettro autistico; tuttavia, sappiamo che non vi si riferisce in maniera esclusiva, anzi. Ho deciso di introdurre il concetto di neurodiversità perché ritengo necessario sensibilizzare a riguardo l’opinione comune ed avvicinare quante più persone possibili alla conoscenza delle potenzialità di crescita e sviluppo di ciascun bambino disabile e non. Questo argomento mi sta particolarmente a cuore e ringrazio pertanto Antonio Pascucci per avermi invitata a scrivere questo piccolo articolo di presentazione e racconto della mia professione. Nel termine neurodiversità, “diverso/diversità” non sta ad indicare qualcosa che si discosta da una norma o da un parametro di “normalità”; al contrario, ci apre allo scenario di possibilità che ogni persona ha di vivere la propria quotidianità con delle risorse individuali ed uniche. Si tratta, pertanto, di un approccio più ampio e complesso alla persona, in cui le caratteristiche evidenti nel funzionamento sociale e cognitivo dell’autismo (ma non solo) vanno a collocarsi tra le naturali possibilità di espressione del cervello umano. Come tale, possiamo guardare alla neurodiversità come una categoria aggiunta a quelle di genere ed etnia presente nel bagaglio di informazioni biologiche di ogni essere umano.   

Quando parliamo di risorse individuali si fa riferimento ad una serie di competenze che riguardano ciascun bambino e che abbracciano le aree della comunicazione, degli apprendimenti, della motricità e della socialità, ma anche delle autonomie personali e di cura di sé stessi. Ed è qui che si inserisce la pratica abilitativa e riabilitativa del TNPEE che volge a supportare e potenziare le abilità specifiche del bambino, attraverso interventi mediati dal gioco e dall’esercizio di specifiche funzioni.  Il gioco all’interno della pratica neuropsicomotoria riveste un ruolo terapeutico fondamentale per molte delle sue proprietà. In primo luogo, giocare è un’azione spontanea per il bambino ed è particolarmente gradita da molti dei nostri piccoli. Ampliare le dinamiche di gioco, stimolare le tappe evolutive attraverso di esso, promuovere la relazione e l’interazione comunicativa rappresentano alcuni degli obiettivi proposti nella sala di terapia della neuro e psicomotricità. Il TNPEE è pertanto un professionista esperto nelle caratteristiche del gioco del bambino nella sua duplice valenza affettiva e cognitiva. Egli ha competenze specifiche nell’adattare il materiale di gioco in funzione delle caratteristiche del bambino, al fine di attivare le abilità cognitive, motorie, comunicative e sociali che intende stimolare. Le abilità descritte non rappresentano dei compartimenti stagni, il bambino le dispone ed utilizza in funzione delle esperienze esterne e del proprio ambiente di vita. Pertanto, è bene fare informazione ed ampliare la visione comune di essere una persona autistica o con un deficit attentivo, con disturbo di apprendimento o di comunicazione; poiché è nella comunità, nei rispettivi partner di gioco e nell’ambiente familiare che il bambino sperimenta sé stesso con le proprie abilità e fragilità.  

Una diagnosi clinica rappresenta l’espressione utilizzata per rendere fruibile a tutti delle caratteristiche che non potrebbero essere concettualizzate in maniera diversa e che è opportuno definire con appropriatezza; ma non vogliono significare uniformità di pensiero e di modi d’essere del bambino, e poi, dell’adulto che la riceve.

La mia professione si pone come obiettivi la prevenzione, l’abilitazione e la riabilitazione. Il trattamento riabilitativo però non si racchiude all’interno dello studio di terapia ma è integrato al confronto costante con i genitori, gli insegnanti, altri professionisti della riabilitazione e medici specialisti. È un lavoro di rete con le istituzioni e gli enti che si occupano della tutela dei diritti della persona disabile. 

In una comunità piccola come la nostra, essere consapevoli e pronti all’ascolto dei bisogni del bambino ed in particolare del bambino con fragilità, rappresenta una risorsa di inestimabile valore. Anche per questo spero di aver suscitato la curiosità di alcuni di voi e, nei più giovani, la voglia di intraprendere il mio stesso percorso di formazione. Ringraziandovi dell’attenzione prestata, vi invito a condividere qualora vorreste, delle domande e/o scrivermi le vostre opinioni a info@prolocofrigentina.it 

Ecco alcuni link utili per approfondire l’argomento:

https://fondazionetetrabondi.org/

https://www.ibambinidellefate.it/

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