di Francesco Di Sibio, tratto dalla raccolta di racconti Cosa vuoi che sia un anno (Fara editore, 2020)
Quando la piccola Ilaria raggiunse la spiaggia del Lido Paradiso, le signore della passeggiata mattutina nell’acqua di mare erano già in attività da due ore. Il loro andare e venire increspava di poco lo specchio d’acqua al di qua dei frangiflutti, mentre le voci dei piccoli gruppi formavano un sottofondo morbido. Gli argomenti erano quasi sempre gli stessi, due erano fissi: la cucina e i nipoti. Le ricette, a quell’ora del mattino, non sembravano avere nulla di fuori luogo, anzi potevano rappresentare un legame con l’ora di pranzo che sarebbe arrivata con molta calma. Peperoni, melanzane, patate e pesce accarezzavano i palati in panico dei signori nei pressi del gruppetto ciarlante.
Una donna, sulla settantina, portava piegata e deposta sul cappello la maglietta, che l’avrebbe coperta una volta uscita all’asciutto.
Proprio ella ebbe un fremito, chiese: «Ma la parmigiana la preferite di melanzane o di zucchine?»
Si aprì un’aspra diatriba che non trovò esauriente soluzione. I pareri rimasero divergenti. La sabbia sottile sotto i piedi sosteneva il loro allegro passeggio, massaggiando le piante artrosiche con infinita dolcezza, come solo la natura sa fare.
Nella notte, la bassa marea aveva messo in luce porzioni di sabbia da tempo nascoste. Alcune pietre, costrette a soggiornare al di sotto della linea del galleggiamento, svettavano ben visibili ai bagnanti intenti a evitarle, pur essendo levigate, ma infide in quanto scivolose per le alghe che vi avevano trovato riparo.
La quotidiana ricerca di conchiglie, intanto, era già iniziata. Proprio la bassa marea aveva incrementato i ricercatori, già in numero cospicuo ogni giorno al Lido Paradiso. Si era diffusa la definizione di pezzo di spiaggia col maggior numero di recuperi di conchiglie di tutto il litorale di Otranto; vi convergevano appassionati dilettanti dai lidi limitrofi e, via mare, sbarcavano furtivi dalle spiagge libere poco distanti.
Sembrava un miracolo della natura; lunghi tratti di sabbia regalavano due o tre pezzi, mentre lì si arrivava pure a venti-trenta per metro lineare di spiaggia lambita dal mare. Anche come grandezza e preziosità non c’erano paragoni. Si domandavano come fosse possibile, ma nessuno riusciva a dare una spiegazione plausibile.
Ilaria lasciò la madre sulla sdraio e corse verso le onde piatte col suo secchiello vuoto in attesa di essere riempito: quasi certezza più che speranza, nella mente di una bambina di sette anni. Si chinò sbirciando tra la sabbia bianca sottile, muovendo le piccole alghe ondeggianti al minimo scuotimento, spulciando tra i ciottoli. Il secchiello iniziava a ospitare il suo tesoro. Si era messa in testa di portare a casa un grosso carico di conchiglie da donare, finite le vacanze, in pacchetti alle amiche una volta ripresa la scuola a settembre. I genitori avevano incoraggiato la figlia, dato una mano durante la prima ora del primo giorno della caccia, poi si erano lentamente affievolite le ricerche, fino a dichiarare l’impossibilità ad andare avanti. Si erano miseramente arresi. La figlia no, non aveva per nulla intenzione di mollare, prima di aver raggiunto la quantità minima programmata. Ogni sera faceva la conta di quanti doni avrebbe dovuto preparare, ogni sera il numero aumentava. La madre alla fin fine era contenta di questo attacco di altruismo, visto che non passava giorno senza affermare, parlando con le sue amiche, quanto le nuove generazioni soffrissero di egoismo cronico, quindi era ottimista che sua figlia potesse, almeno in parte, prendere una strada diversa.
«Papà, papà!» urlò a un tratto Ilaria, correndo verso le sdraio, dove un robusto signore milanese con una strana bandana bianca in testa giaceva al riparo di un ombrellone.
«Cosa c’è, tesoro?» chiese preoccupato il padre.
«Vieni, vieni a vedere cosa ho trovato in acqua» disse la bimba mentre ne strattonava già il braccio.
«Cosa sarà? Una conchiglia tanto particolare da creare tutto questo casino.»
«No, non è una conchiglia, è un osso» affermò con sul viso una drammaticità inaspettata.
A quel punto l’adulto non si fece più tirare, impresse un ritmo ansimante al suo camminare, finché non mise i piedi in acqua e seguì con gli occhi le indicazioni della figlia spaventata.
Un osso di una decina di centimetri ruotava, un po’ in acqua un po’ fuori, poco distante da lui. Si allarmò. Ebbe un sussulto che non riuscì a smorzare sul nascere; anche se sapeva a cosa stava andando incontro, non seppe farsi trovare pronto, una volta individuato l’oggetto.
A chi o a cosa sarà appartenuto? La domanda circolò subito sulla porzione di spiaggia in subbuglio.
Ormai si era creato un capannello di gente pronta a scommettere sull’identità del passato proprietario dell’osso. All’unanimità si impose una certezza: era un osso umano, forse il pezzo di un femore di un albanese morto durante la traversata verso la Puglia. È o no il canale di Otranto il tratto più breve tra l’Italia e l’Albania? Era o no in corso un massiccio esodo verso le coste pugliesi? Era o no da pochi mesi accaduto un naufragio spaventoso in cui avevano perso la vita alcune persone solo poche decine di chilometri più a nord? Chissà quanti altri cadaveri senza nome e senza aver fatto notizia erano stati accolti dall’Adriatico e ora il mare chiedeva loro un ricordo, un riposo all’asciutto.
Tutta questa consapevolezza creò in pochi minuti un comitato civico sui generis. Partirono delle telefonate ai carabinieri, al sindaco e ad altre autorità reputate competenti. Il primo a giungere fu il sindaco, si trovava nel suo ufficio presso il municipio. Allarmato per la ricaduta sul turismo balneare, disse: «Non abbiate timore, capiremo in poco tempo tutto ciò che c’è da capire. Grazie per l’aiuto e per averci chiamato, ora provvederemo in sinergia con le autorità competenti.»
Non ultimò neanche le sue parole e arrivarono sul posto anche i carabinieri. Il maresciallo ordinò subito ad alcuni volontari di creare un cordone per poter procedere al recupero del residuo della parte anatomica solida di un vertebrato.
All’udire queste parole, uscì una voce dalla folla di bagnanti: «Quindi sapete già che sia appartenuta a un essere umano?»
Il maresciallo dovette scendere in maggiori dettagli: «In realtà ho detto vertebrato, intendendo rimanere nel vago, perché non solo gli uomini hanno le vertebre, lo scheletro insomma.»
Un brusio fu l’unico appunto alle argomentazioni del maresciallo.
Il pezzo di osso fu recuperato e portato alla divisione scientifica per le indagini del caso.
Il sindaco si congratulò con i militari dell’Arma, tornò immediatamente presso il suo ufficio dove firmò una delibera con la quale si vietava la balneazione in quel pezzo di spiaggia per un periodo non precisato, almeno fino a che le indagini non avessero chiarito quanto c’era da chiarire.
La mattina seguente, solo la piccola Ilaria, incurante del divieto, si presentò sulla spiaggia per continuare la sua raccolta. La sorpresa fu molta, quando si accorse delle pochissime conchiglie e molto piccole offerte dal Lido Paradiso. Tornò dai genitori incredula e senza poter dire nulla; si era allontanata sostenendo che li avrebbe aspettati davanti all’albergo per poter insieme andare in macchina verso la spiaggia di Alimini, non lontana dal paese.
Nella sua testolina circolava un’unica domanda: non è che la marea, alzandosi come aveva imparato a scuola, si era portata via tutte quelle belle conchiglie viste il giorno prima e che non era riuscita a raccogliere per intero, quando ella stessa aveva fatto la scoperta dell’osso?
Si schernì di essere stata l’artefice di tutta quella confusione e del più doloroso aspetto di dover andare in esilio a prendere il sole in una spiaggia non conosciuta, dove non aveva i suoi punti di riferimento, né altri bambini con cui giocare.
Si ripresentarono in albergo per ora di pranzo e, ritenendo troppo fastidioso tornare in auto nella spiaggia della mattina, il pomeriggio fu dedicato alle cartoline, dopo un abbondante riposino generale.
Le prime cartoline a essere compilate furono quelle destinate alle compagne di classe di Ilaria. Via San Marciano, via Pagliara, contrada Mattine… snocciolava indirizzi di Frigento con una precisione strabiliante. Anche i numeri civici erano menzionati a memoria senza esitazione. Mentre l’imbrunire si impadroniva del cielo, il centro storico veniva affollato sempre più da quanti di giorno si erano riversati sulle varie spiagge del circondario.
Una pizzeria, appena al lato della Porta Terra, ospitò tutta la famiglia. La cena fu il momento per distrarsi, per pensare alle amiche a cui aveva appena spedito le cartoline e sentirle vicine, in attesa di poter di nuovo giocare con loro per la strada fino a tardi.
Dopo aver mangiato la pizza, entrarono nel centro storico, dove, oltre Porta Terra, si stava esibendo un complesso, che suonava canzoni di Fabrizio De André. I genitori cantarono a squarciagola tutti i pezzi, mentre la bambina cercava di apprendere alcuni passaggi dei testi che le sembravano più interessanti e più facili da ricordare.
La mattina seguente Ilaria si avviò come al solito nella sala dell’albergo adibita alle colazioni, i genitori l’avrebbero raggiunta dopo qualche minuto. Era sempre la prima a essere pronta e si annoiava a dover trattenersi nell’angusta, sia pur confortevole, stanza.
Fece un rapido giro con lo sguardo dei vari tavoli apparecchiati a seconda delle stanze occupate, notò che il numero era sceso di molto e rimase con il dubbio sul perché, fino a quando, una ventina di minuti dopo, ascoltò il proprietario parlare con suo padre.
«Sì, è davvero una sventura. In alta stagione un colpo come questo è terribile. Spero proprio che la cosa si risolva in poco tempo.»
«Hanno avuto tutti paura?»
«Buona parte di quelli che hanno lasciato l’albergo mi hanno confidato di averci scelto per l’estrema vicinanza alla spiaggia. Se devono prendere l’auto per raggiungere il mare, cosa ci stanno a fare qui?»
«In effetti anche noi abbiamo notato la differenza; sono vacanze diverse da come l’avevamo immaginate, ovvero di puro relax dopo un anno intero a fare su e giù con un’auto.»
«Adesso ho paura che la notizia si diffonda e inizino a fioccare richieste per cancellare le prenotazioni.»
In colpa, ecco come si sentì Ilaria per tutto il giorno. Aveva lanciato l’allarme, chiamato il padre, creato il polverone per un piccolo pezzo di osso, chissà a chi era appartenuto, poi. Sulle sue minuscole spalle poggiava un carico così grave da pensare più volte di non riuscire a sopportarlo. In fondo era una bambina e mai come in quel momento fu tanto difficile ammettere a sé stessa di aver tanto ancora da crescere prima di definirsi grande.
Prima di chiudere gli occhi e prendere sonno, dopo un’altra giornata in spiaggia e la solita passeggiata in centro fino al castello, progettò di andare di nuovo a controllare se nella porzione di spiaggia dell’albergo, quella vietata, ci fossero di nuovo le famosissime conchiglie, l’eloquente segno distintivo.
Nulla, non trovò nulla di paragonabile a quanto quotidianamente aveva visto e raccolto insieme a tante persone lungo la battigia.
Dopo il sopralluogo furtivo quanto infruttuoso, ancora una volta raggiunse la sala colazioni.
Quando, nel tardo pomeriggio, rientrarono dalla trasferta ad Alimini, suo padre fu bloccato dal proprietario dell’albergo, sorridente come non mai. Prendendolo sotto braccio e portandolo in disparte si sentì confidare: «Sono passati i carabinieri.»
«Allora ci sono novità?»
«Sembra di sì. Mi hanno detto che entro domani avranno una risposta dal laboratorio presso il quale hanno spedito l’osso per i controlli. Intanto in questi giorni hanno perlustrato più volte la zona e non hanno trovato nulla: pensano sia una cosa buona.»
«Buonissima, oserei dire.»
Chiusero il dialogo in coro, sussurrando: «Speriamo bene!»
I giornali locali misero in prima pagina la notizia del rinvenimento dell’osso. Le ricostruzioni più fantasiose popolavano pagine e pagine dei quotidiani, molti andarono a disturbare esperti o sedicenti tali; i più seri e attenti si limitarono a confermare la stranezza del ritrovamento, gli altri si soffermarono morbosamente sulla quasi certezza di trovarsi di fronte a un caso di residuo umano, uno dei tanti coraggiosi che affrontano il Canale d’Otranto in cerca di una vita più soddisfacente per sé e per dare un futuro di speranza ai propri cari. La retorica era il collante prediletto da tutta la seconda categoria. Il sindaco non era riuscito a bloccare oltre la fuga di notizie, nonostante si fosse impegnato molto nel contattare tutti i suoi referenti, ricordando i favori fatti loro in passato: interviste esclusive, soffiate sulle difficoltà della minoranza e tante altre scaramucce di paese che, evidentemente, non erano sembrate all’altezza di braccare l’inarrestabile circo mediatico.
A metà mattinata fecero la loro comparsa anche alcune telecamere. Il pezzo registrato sarebbe passato nel tg della sera. Proprio mentre i clienti stavano mettendosi a tavola per il pranzo, il maresciallo dei carabinieri fece il suo ingresso nella hall dell’albergo.
Il proprietario era in cucina e fu convocato d’urgenza e per raggiungerlo dovette attraversare trafelato la sala con i pochi clienti ancora rimasti, intenti a seguire con lo sguardo la sua camminata spedita.
Appena fu al posto desiderato esclamò: «Maresciallo, spero sia un piacere tutto mio, vederla.»
«Non sono venuto per arrestarla, se questo le può far piacere.»
«Su, non mi tenga sulle spine, mi porti una bella notizia, oggi abbiamo avuto anche la televisione e non per registrare una pubblicità al mio albergo.»
«La terrei sulle spine volentieri, se non fosse ora di pranzo anche per me. Sa, anche noi carabinieri mangiamo.»
«Lo so, lo so.»
«Allora, abbiamo ricevuto i documenti dal laboratorio.»
«Quindi?»
«Il pezzo di osso rinvenuto a pochi metri da qui è quello di un cane. Non un uomo, un cane. Tutto qua. Togliamo tutti i sigilli, il divieto è revocato fin da ora.»
La bella notizia si diffuse subito in tutta la sala da pranzo, confortando i clienti superstiti. Le telecamere andarono via in fretta; il tg della sera non accennò minimamente al chiarimento scientifico dell’accaduto e il giorno dopo neanche un rigo di inchiostro comparve sui quotidiani locali: lo sviluppo non interessava più.
La mattina seguente, quel lembo di sabbia fu invaso di nuovo e come se nulla fosse accaduto, il gruppo degli anziani riprese a camminare con l’acqua fino ai polpacci per agevolare la circolazione sanguigna, gli ombrelloni ripresero a sventolare sotto il sole, i bambini e tutti gli appassionati ripresero la ricerca di conchiglie, miracolosamente erano tornate anche loro in modo da confermare la nomea di posto migliore del litorale. Ilaria riuscì ad allargare il numero di regalini per le amiche e il padre non le confidò mai che quella notte, scendendo nella hall dell’albergo per prendere al distributore automatico una bottiglietta d’acqua, aveva visto un membro del personale lasciar cadere da un paio di sacchi delle bellissime conchiglie, pronte per essere raccolte.