di Francesco Di Sibio, tratto dalla raccolta di racconti Cosa vuoi che sia un anno (Fara editore, 2020)
Qualcuno, con un bastone in mano, sta cercando di forzare la porta dello studio e interrompere la diretta. Non riesco a capire quanti siano, forse due, forse tre persone. Cosa vorranno?
Questa è una piccola radio di provincia, non facciamo male a nessuno, non parliamo di politica o di economia, ma dovrò trovare prima uno in grado di spiegarmi quale economia ci possa essere da queste parti.
Io rimarrò qui a dialogare con voi, carissimi radioascoltatori, anche in queste fasi concitate, nulla mi impedirà di parlare, non mi imbavaglieranno mai, neanche con la forza, questo spazio rimarrà un’oasi di libertà, sempre e comunque.
Stanno bussando col bastone – si sente un rumore sordo, ritmato e continuato per alcuni tocchi – ecco, spingono con forza, ma non riescono a entrare, la serratura sta tenendo alla grande e con un po’ di fatica ho messo una sedia dietro la porta come ulteriore sostegno. Non so quanto riuscirò a reggere in questa situazione. Non so quanto riuscirò ancora a mantenere la calma necessaria per raccontarvi in diretta questo tentativo di penetrare nello studio di Radio 911. Siamo in diretta, ma dico, non hanno neanche paura del potere che in questo momento ho di raccontare tutto quello che stanno facendo? Come fanno a non temere la verità? Come fanno a non indietreggiare davanti a questa resistenza?
Ci stanno riuscendo, forse saranno qui dentro tra pochi secondi, chiedo alla regia, dall’altra parte del vetro, di mandare in onda della musica.
Sì, quella che credi, ma sbrigati, dai, adesso!
Moonlight Serenade, Glenn Miller (1939)
Bene, carissimi radioascoltatori, eccoci rientrati in diretta. Vorrei tranquillizzare mia madre: mamma, sto bene, non preoccuparti. Il tentativo di penetrare nello studio non era una bugia, ma un pezzo preparato; insomma, una finzione verosimile per sostenere un intento ben preciso.
All’università, un professore ci parlò di Orson Welles, del suo esperimento socio-antropologico, definiamolo così. Un giorno, in diretta radio, fece la cronaca di un attacco alieno. Apparve così vero che in migliaia ci credettero, ebbero paura, si creò un panico tanto diffuso che, alla fine, le persone non volevano credere a quanti smentivano categoricamente l’invasione aliena. La finzione fu considerata più reale della realtà. Incredibile, ma andò proprio così.
Accadde nel 1938, il 30 ottobre. Era uno sceneggiato radiofonico, War of the worlds (La guerra dei mondi), ed era tratto da un romanzo di fantascienza. Ci fu una cosa ancora più strana: erano stati trasmessi degli avvisi sia prima sia dopo la finzione, ma la disattenzione, prima, e il panico, dopo, non lo fecero percepire un testo interpretato. A modo mio, volevo ricordarlo ottant’anni dopo.
Non so se io sia riuscito, con i pochi mezzi a diposizione, a ricreare almeno in parte il clima di un attacco, ma ripeto: era un esperimento. Poi, nella mia drammatizzazione, avevo cercato di inserire qualche esca per far intuire come stessero davvero le cose. Una di queste era la richiesta alla regia di far partire un pezzo musicale. Forse sapete che qui non c’è una regia vera e propria, i brani scelti sono sistemati in scaletta prima della diretta e, con un semplice tasto sul computer, io stesso li mando in onda.
Infatti, ecco che è di nuovo il momento della musica.
Ba ba baciami piccina, Alberto Rabagliati (1940)
Torniamo in diretta su Radio 911 col vostro programma preferito, Viva la vita.
Se qualcuno di voi ha davvero creduto all’attacco contro di me, mandi un messaggio al solito numero. Lo leggeremo nel corso di questa trasmissione.
Prima parlavo di un esperimento. Volevo capire se la violenza fa ancora paura, se innesca ancora il sentimento di protezione nei confronti di ognuno di noi, un’autotutela, e nei confronti degli altri, accorrere in aiuto.
Le immagini viste troppo spesso, ci parlano di un crescente menefreghismo, qualcuno reagisce male a una parola fuori posto, e gli astanti si voltano dall’altra parte, un immigrato sale sulla metro e un passeggero salito in precedenza lo invita caldamente, usiamo un eufemismo, a scendere o cambiare carrozza. E gli altri che fanno? Nulla.
Si tratta di paura, di essere persone vili, senza attributi, oppure di abitudine alla violenza, verbale o fisica non importa. Si tratta sempre e comunque di violenza, questo deve essere chiaro.
Ora noi potremmo affermare: tanto a Frigento non c’è la metropolitana.
Va bene, era una battuta di poco spirito, ma la domanda rimane ed è seria: cosa faremmo noi?
Johnny B Goode, Chuck Berry (1958)
Certo è semplice stare davanti alla televisione e salomoneggiare, esporre tesi a favore o contro i protagonisti dell’accaduto. Siamo carichi di storia fatta di tribunali speciali, non mi riferisco al processo di Norimberga o altri del genere, la mia affermazione va intesa nel senso dei tanti tribunali televisivi, che hanno insegnato a una generazione intera a dire: questo è giusto, quello è sbagliato, direttamente dal divano di casa; a proferire: questo è colpevole, quello ha ragione. Semplice, no?
Invece non è semplice, non è affatto semplice. Perché la vita non è un’alternanza pura di bianchi e di neri, ma un’infinita gamma di grigi dalle raffinate sfumature. Forse abbiamo perso questo punto di vista.
Me lo chiedevo proprio ieri mentre ero dal mio parrucchiere. Egli era intento a tagliarmi i capelli, parlava in modo animato con altri due avventori in attesa del loro turno, o lì solo per scambiare due chiacchiere. L’argomento all’ordine del giorno era la partita del campionato calcio disputata la sera precedente. I pareri erano contrastanti, ma tutti definitivi. Una squadra di incapaci, diceva uno, undici eroi, sosteneva l’altro, davvero mitici, replicava l’altro ancora. Eppure oggetto delle loro constatazioni, esposte attraverso iperboli, era la medesima squadra. Un assurdo, secondo me, ma forse il vero alieno di Orson Welles sono io.
Abbiamo perso il senso della giustizia?
Condivido questa domanda con voi. Sì, mi rivolgo a voi, fedeli ascoltatori, fatevi vivi, portate il vostro contributo al monologo svolto finora. Mandate i vostri messaggi, io li leggerò in diretta.
Ora ascoltiamo un brano leggendario.
(Sittin’ On) The Dock Of The Bay, Otis Redding (1968)
Sempre in diretta col vostro Matteo Strazza.
Oggi stiamo parlando di violenza, giustizia, verità. Lo so, sono temi alti, forse non sono il tipo per poterli destreggiare nel modo giusto, ma stamattina stiamo conducendo un esperimento: si può parlare in modo serio di questi temi? Siamo ancora capaci di ragionare, porci dei dubbi su quanto credevamo infallibilmente vero fino a questo momento?
Intanto iniziano ad arrivare i vostri contributi. Eccone uno. Stefania dice: «Ho avuto paura per te, anche se non ti conosco, stavo chiamando i Carabinieri».
Meno male non lo hai fatto, altrimenti mi sarei beccato qualche denuncia per procurato allarme.
Anche mia madre ha scritto: «Stasera a letto senza cena!» Categorica come sempre. Vorrà dire che mi consolerò con una bella pizza.
Dario, invece, sintetizza il suo stato d’animo in tre parole: «Sei un co…» penso si sia capito, non c’è bisogno di essere tanto bassi culturalmente, bastava dire: Sei quel tipo di persona a cui piace scherzare in modo esagerato, fuori dai ranghi. Sarebbe stato meglio, no?
Comunque apprezzo il tuo parlare diretto, grazie.
Si trattava di un esperimento socio-antropologico, che poi, cosa voglia dire questo parolone non lo so nemmeno io. Comunque fa eleganza, parlare forbito. A me sarebbe piaciuto saper parlare in modo forbito, ma non ci riesco, proprio non ne ho la stoffa.
Intanto che preparo la prossima canzone, aspetto qualche contributo sull’argomento di oggi.
Tre, due, uno, musica.
Shine On You Crazy Diamond, Pink Floyd (1975)
«La violenza fa schifo» ci scrive Amilcare. Grazie, anche se il tuo non sembra un contributo alla discussione, quanto un graffito sul muro.
Ancora tanti i messaggi ricevuti. Una donna, non vuole che si dica il suo nome, ci racconta: «Ho paura ogni volta mio marito ritorna a casa, soprattutto se ha bevuto». Carissima anonima, stai attenta, non tirare troppo la corda, fatti forza e trova la strada giusta. Di sicuro, questa non è una situazione nuova.
Irene dice: «A volte mi chiedo se sono ancora capace di riconoscere la verità». Questo è un dubbio legittimo, anche io mi pongo spesso questa domanda. Eppure, potremmo dire, non abbiamo mai avuto tante notizie come in questo momento, ci raggiungono in ogni parte del mondo, senza neppure averle cercate. Invece è proprio così.
Come si fa a distinguere la verità dalle fandonie? Una volta c’era l’uso di dare retta a determinate persone di specchiata stima. Ci ispiravano fiducia, li ascoltavamo con attenzione, magari la sera passeggiando con gli amici spacciavamo per nostre alcune loro affermazioni, contrabbandavamo per personali intuizioni frutto di anni di studio. Anch’io, oggi, ho dimostrato la fallacità del mezzo, anche la radio, come tutti i mezzi di comunicazione, possono essere seri, portatori di esperienza, ma allo stesso tempo sono falsi, dipende da come li si usa, e hanno un grande potere.
Musica.
Under Pressure, Queen & David Bowie (1981)
Adesso vi voglio raccontare una storia.
Era il solito giro, quello che svolgevano in coppia da più di dieci anni. Uno guidava, l’altro indicava la strada; uno citofonava, l’altro parlava al citofono; uno leggeva il numero progressivo dal contatore del gas metano, l’altro lo riportava sull’apposito modulo. Tutto oliato, tutto nella norma: un giorno come tantissimi altri.
Al terzo citofono suonato, un videocitofono per l’esattezza, la vocina in risposta disse imperiosa: «La mando io la lettura, non preoccupatevi, andate via!»
«Va bene – fu la pronta risposta –, ma ormai siamo qua, la possiamo fare noi tranquillamente, ci metteremo solo un minuto.»
«No, davvero, andate pure via.»
Non riuscirono a farsi aprire, la vocina insistette e loro abbandonarono.
Poteva capitare non tanto di essere allontanati, quanto rinviati a un momento migliore, perché gli inquilini avessero premura di uscire o fossero impegnati in faccende urgenti e non procrastinabili.
Fatta una risata, si allontanarono dal palazzo.
La fermata successiva fu ancora più traumatica.
«Andate via, altrimenti chiamo i carabinieri!»
«Signora, siamo i soliti letturisti, siamo venuti anche due mesi fa.»
«Non mi interessa chi siete.»
«Va bene, allora torneremo domani.»
«No, non dovete venire mai più.»
«Ma cosa abbiamo fatto? Ci deve essere un errore.»
«Non c’è nessun errore. Andate via, o chiamo i carabinieri.»
La situazione divenne talmente strana e immaginarono l’anziana urlare incollata alla cornetta del citofono. Non ci fu verso. Oltre ai carabinieri, minacciò di convocare anche i vigili del fuoco, nella foga forse voleva intendere i vigili urbani, infatti avevano la loro sede a pochi metri.
La signora si calmò solo quando, avendo seguito tutti gli spostamenti dalla finestra, ebbe la certezza che i due fossero andati via.
Musica e poi riprenderemo la storia.
My heart will go on, Céline Dion (1997)
I due letturisti si guardarono in faccia e si misero a ridere, pensando a quella giornata in cui si erano raggruppate tante situazioni particolari, verificate di solito in un mese, che raccontavano volentieri a casa, al ritorno dopo il lavoro.
La lettura successiva andò via tranquilla, come se nulla fosse mai accaduto: questo diede conforto ai due; infatti decisero di fermarsi al bar per prendere un caffè.
Giunti davanti al bancone si trovarono di fronte un ragazzo con in mano uno smartphone che compulsava sullo schermo e avidamente scrutava notizie. Alzò un attimo gli occhi, intanto chiedeva svogliatamente cosa volessero, vide i due e di scatto portò gli occhi sul piccolo display. Fece questo movimento della testa un paio di volte, poi mise nella tasca il dispositivo, pronunciando di scatto: «Avete detto due caffè o sbaglio?»
Alla conferma, si mise all’opera, ma non allontanò mai almeno un occhio dai due, i quali continuavano a scherzare per come erano stati trattati dalle due donne.
Uno dei due rideva in modo sgraziato e ad alta voce affermò: «Chissà se altre persone oggi non vorranno aprirci. Abbiamo tanto da lavorare, l’elenco delle visite è ancora lungo. Forse dovremmo essere più astuti. Che ne pensi?»
L’altro rispose in modo svogliato e dubbioso, facendo intuire al collega che forse non era il caso di parlare in quel modo davanti a testimoni.
Il caffè finì con molta calma, pagarono e si allontanarono dal locale. Solo allora il giovane barista riprese lo smartphone e si mise a digitare velocemente.
Ancora un brano musicale, uno dei miei preferiti.
Wake Up, Arcade Fire (2004)
Stiamo andando verso la fine del racconto di oggi, ecco una breve sintesi. Due letturisti dell’azienda del gas, mentre stanno portando avanti il proprio giro periodico nel registrare i consumi delle singole utenze domestiche, vengono invitati a non entrare nelle abitazioni per espletare il proprio compito.
Come va a finire la storia?
Usciti dal bar, i letturisti ripresero la lista delle abitazioni e si recarono verso quella successiva. Stavano citofonando, quando si affiancarono due carabinieri e chiesero loro: – Chi siete? Cosa volete da quella vecchietta?
Non fecero in tempo a rispondere che si sentirono intimare: – Seguiteci in caserma, parleremo con calma in un luogo più tranquillo.
Gli sventurati si guardarono in faccia, senza riuscire a scambiarsi una parola per rincuorarsi.
Entrarono sulla Panda 4X4 con i lampeggianti accesi e, intimoriti, acconsentirono a tutto quello che venne chiesto loro. Una volta davanti al comandante della stazione, stettero ad ascoltare quanto veniva puntualmente indicato riguardo ai loro comportamenti ritenuti sospetti.
Ad un tratto, in contemporanea scoppiarono in una risata fragorosa, servì a disinnescare il loro stato d’ansia.
L’appuntato presente a quella sorta di interrogatorio, ordinò di tacere e portare rispetto alla divisa indossata, ma non ci fu verso.
Trascorsi cinque minuti, uno dei due chiese di alzarsi in piedi, in segno di rispetto, e di spiegare la loro posizione.
Tutto fu chiarito, con qualche difficoltà.
Un loro collega dell’azienda del gas aveva postato su Facebook una foto ritraente i due letturisti davanti a un citofono con la scritta: Non aprite a questi due, sono dei truffatori. Chiedono soldi ad anziani indifesi. Avvisate subito i carabinieri, se si dovessero presentare davanti alle vostre abitazioni.
La loro versione fu confermata dalla dirigenza della società del gas, puntualmente interpellata: nessuno dei due era mai stato ripreso dai superiori, anzi, venivano reputati dipendenti modello. Un qui pro quo, fu definito il tutto; i due lasciarono la caserma dell’Arma scoppiando in una nuova fragorosa risata subito dopo aver richiuso con forza il pesante portone alle loro spalle.
Uno scherzo, ecco tutto. A chi si può credere?
Rolling in the Deep, Adele (2010)
Daniela ci scrive: «Io credo solo negli oroscopi». Contenta tu…
Invece, Maddalena sottolinea: «Io credo a tutto ciò che trovo su internet, dopo un po’ di tempo, però, mi ritrovo a leccarmi le ferite». Ti consiglio dell’alcol che non brucia, anzi, cerca di essere meno credulona, indaga, cerca conferme, prima di essere certa; è un piccolo consiglio non richiesto, ma soprattutto è gratuito.
La puntata di oggi è arrivata al capolinea, abbiamo parlato di tanti argomenti diversi, ma tutti concatenati. Abbiamo letto qualche vostro commento, e soprattutto abbiamo ascoltato, nel racconto di oggi, una vicenda verosimile: basta poco per screditare una persona, oggi più che mai, con l’uso dei social.
Uno scherzo può apparire realtà, la realtà può essere letta come finzione.
L’appuntamento è per domani.
Sigla!
Viva la vida, Coldplay (2008)